Ponte dell'Olio

16/04/16
Marino

Ristrutturazione borgata

E' stato pubblicato il bando per la parziale ristrutturazione e il risanamento della pavimentazione stradale e dei marciapiedi di via Vittorio Veneto.
I lavori avranno una durata di circa tre mesi  FONTE .
👨 Luca   16/04/16 17:28 ® 1717
Fantastico!!!!
👨 San Pietr(in)o   17/04/16 00:14 ® 1718
Come passa il tempo: più o meno, siamo a 22-23 anni dalla precedente ristrutturazione. Che interessò anche il sottosuolo e i vari allacci...
👩 Anna   17/04/16 08:25 ® 1719
La pavimentazione in sampietrini è un po più recente. Per l'esattezza mi pare risalga al 96/97.
👨 Perplessa   18/04/16 14:41 ® 1727
Spero solo che i lavori inizino in ottobre!
Sarebbe il colmo ostacolare le poche iniziative previste
nel periodo estivo!
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15/04/16
Marino

Il Governo valorizzerà i piccoli comuni

"A breve vareremo una legge per la valorizzazione dei piccoli Comuni. Una legge che valorizzerà i contenuti dei Comuni sotto i 5mila abitanti". Lo ha annunciato il sottosegretario al ministero dell’Economia, Pierpaolo Baretta, parlando alla platea dei giovani amministratori, nel corso dei lavori della VII assemblea nazionale Anci Giovani in corso di svolgimento a Trieste  FONTE .
👩 Tiziana   15/04/16 20:49 ® 1715
Faccio bene a non fidarmi! Pagliacci
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14/04/16
Marino

Da questo 730 detraibili le spese per la mensa della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione

Interessante questo avviso  FONTE  pubblicato sul sito del comune di Pontenure.
In esso si legge che a decorrere dall’anno di imposta 2015 risultano detraibili dalle imposte sui redditi, ai sensi della lettera e-bis) dell’art. 15 TUIR, le spese per la frequenza anche della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione, nel limite massimo di spesa annua di 400 euro per alunno o studente. Tra queste, come chiarito dall’Agenzia delle Entrate, rientrano anche le spese per la mensa scolastica. Tali spese devono essere documentate secondo i principi generali validi in tema di detrazione. Il comune di Pontenure, con l'avviso che ho linkato, spiega ai propri cittadini come recuperare i documenti da allegare al 730.
  
14/04/16
Marino

Fusione: Trecastelli

Sto analizzando i bilanci del comune di Trecastelli, il comune nato a seguito di fusione di tre comuni marchigiani, pubblicati sul sito del Ministero dell'Interno; e si stanno confermando i vantaggi economici raggiunti dagli amministratori che hanno governato questa fusione.
Un dato di sintesi significativo si ottiene comparando il parametro "somma delle spese correnti dei tre comuni ante fusione diviso il numero di abitanti" con lo stesso parametro post fusione:
- spese dei tre comuni ante fusione diviso il numero di abitanti = 619 €/ab
- spese del comune fuso diviso il numero di abitanti = 592 €/ab - 27 €/ab -4.4%.
Dall'analisi dei dati inerenti il comune di Trecastelli (7.644 abitanti), ne segnalo uno che è stato oggetto di approfondimento nei giorni passati: il "costo della politica".
Trecastelli ha lo stesso numero di assessori/consiglieri che avrà PonteVigo.
Queste le indennità di Trecastelli:
- Sindaco, autonomo, 1.794 €/mese
- Vicesindaco, autonomo, 1.079 €/mese
- Assessore, autonomo, 1.079 €/mese
- Assessore, autonomo, 1.079 €/mese
- Assessore, dipendente, 515 €/mese
per un totale di (1.794x13+1.079x12+1.079x12+1.079x12+515x12)= 68.000 €/anno
 NB: Nella delibera  FONTE  nella quale sono state deliberate le indennità, sono state applicate riduzioni (es. art. 1, comma 54 della L. n. 266/2005) che oggi non sono più in vigore, per cui il valore di 68.000, in caso di aggiornamento del calcolo, risulterà decisamente più elevato
Attualmente il costo della politica di Ponte (23) + Vigo (30) è di 53.000 €/anno ma stimo che, una volta perfezionata la fusione, si dovrà considerare un costo tra i 70 e gli 80.000 €/anno.
  
13/04/16
Marino

Una fusione virtuosa: Trecastelli

Servizi comuni, quindici appalti in corso, accorpamento di servizi, riduzione della tassazione del 30%.
Dopo un anno il comune di Trecastelli, quasi ottomila abitanti, il primo delle Marche nato dalla fusione di Castel Colonna, Monterado e Ripe tira le somme.
Una pratica virtuosa, quella della fusione, che assicura una premialità decennale di 280 mila euro che la regione si è impegnata a rispettare.
 FONTE 
👨 Bastian contrario   15/04/16 22:40 ® 1716
C'è anche chi, invece della fusione, ha fatto una scissione: Baranzate (in provincia di Milano). Diventato comune nel 2004, staccandosi da Bollate (dopo un referendum). Se alla prova dei fatti si sia rivelata una scelta virtuosa o no, questo non lo so...
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13/04/16
Marino

Fusione e completezza dell'informazione

Un commento scritto su Facebook ("la fusione diventerà obbligatoria e a fondi zero") richiede una precisazione tecnica, dato che la proposta di legge in oggetto prevede che dalla data di eventuale approvazione della legge, vi siano due anni di tempo per la fusione volontaria senza perdere alcun finanziamento.

Ecco il testo della proposta di legge presentata l'11 novembre 2015 da un gruppo di 20 deputati del PD:
ART. 1. (Modifica art.13 del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267).
1. All’articolo 13 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, è aggiunto, in fine, il seguente comma: «2-bis. Un comune non può avere una popolazione inferiore a 5.000 abitanti ».
ART. 2. (Disposizioni transitorie).
1. Trascorsi ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, conformemente a quanto previsto dagli articoli 117 e 133 della Costituzione, le regioni provvedono, nelle forme previste dalla legge regionale, alla fusione obbligatoria dei comuni la cui popolazione sia inferiore a 5.000 abitanti e che non abbiano già avviato autonomamente procedimenti di fusione.
2. Ai comuni assoggettati a fusione obbligatoria ai sensi del comma 1 del presente articolo non spettano i contributi straordinari previsti dal comma 3 dell’articolo 15 del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, né gli ulteriori contributi o benefìci previsti dalla legge a favore dei comuni che abbiano proceduto alla fusione di propria iniziativa.
ART. 3. (Riduzione dei trasferimenti erariali in caso di mancato intervento delle regioni).
1. Trascorsi quarantotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, qualora una regione non abbia provveduto alla fusione obbligatoria dei comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti con propria legge, essa, a decorrere dall’anno successivo, è soggetta alla riduzione di una quota pari al 50 per cento dei trasferimenti erariali in suo favore, diversi da quelli destinati al finanziamento del Servizio sanitario nazionale e al trasporto pubblico locale.

E qui un frammento dell'intervento di presentazione in Parlamento da parte del relatore Lodolini: "Quindi, di fatto, i comuni avranno due anni di tempo per procedere autonomamente, dal basso, e secondo criteri di omogeneità, maggiormente rispettosi delle caratteristiche fisiche dei territori o delle tradizioni loro proprie, a predisporre fusioni al fine di costituire comuni che abbiano almeno 5.000 abitanti. Qualora non lo facciano autonomamente nei primi due anni, in base all’articolo 2 della proposta di legge, saranno le regioni, con propria legge, a provvedere. In tal caso però i comuni perderanno il diritto a tutti i benefici previsti dalla legge per incentivare le fusioni di comuni."

NB: la proposta in oggetto si aggiunge alle migliaia di proposte di legge giacenti in Parlamento!
  
13/04/16
Marino

Fusione: le chiamano: suggestioni!

Su Libertà di ieri, parlando della fusione, viene fatto un esempio di integrazione delle comunità di Ponte e di Vigolzone elencando le associazioni che coinvolgono i cittadini dei due comuni: la Pubblica Assistenza Val Nure, il Corpo bandistico pontolliese, il Gruppo Archeologico Valnure, i Bipedi, la Società operaia di mutuo soccorso; e anche le scuole dei due comuni e le parrocchie.
L'articolo prosegue poi con un virgolettato in cui viene evidenziato che, con gli esempi appena portati, "il territorio ha già espresso autonomamente, e in tempi non sospetti, la propria volontà di fondersi".
Questo è un esempio di una tecnica comunicativa denominata framing (*).
In sostanza, si tratta di un’illusione cognitiva con la quale il parametro valutativo appare differente a seconda della prospettiva dalla quale lo si guarda.
Infatti, un modo diverso e altrettanto degno di valutare l'integrazione in oggetto è: con gli esempi appena portati, il territorio ha dimostrato che le due comunità collaborano proficuamente senza la necessità di fondersi.
Come si vede, i due esempi portano a conclusioni diametralmente opposte.

Io sono consapevole di essere un'educanda in confronto alle capacità comunicative delle organizzazioni che stanno attivandosi su questo tema. Ma ce la metterò tutta per farmi un'idea oggettiva, a prescindere dalle "suggestioni" che mi verranno proposte.

 (*) Il termine framing si riferisce ad un processo di influenza selettiva sulla percezione dei significati che un individuo attribuisce a parole o frasi. Il framing definisce la "confezione" di un elemento di retorica in modo da incoraggiare certe interpretazioni e scoraggiarne altre. 
👨 Osservazione   13/04/16 14:25 ® 1708
Marino praticamente hai detto che noi auditori, osservatori, comuni cittadini non abbiamo capacità di raziocinio , di valutare e capire, in pratica crediamo ciò che gli altri ci fanno credere! Degli idioti in poche parole. Non pensavo d'essere messo così male, meno male che ci sei tu che me l'hai fatto notare. 😊 ..... come tu hai spiegato ho guardato il discorso da un altro punto di vista.
👨 Marino   13/04/16 14:48 ® 1709
Gentile Osservazione, se leggi con attenzione, converrai con me che l'unica persona citata (quello che tu in sintesi riassumi con il termine "idiota") sono io ("Io sono consapevole di essere... ecc. ecc."). Se però tu, leggendo le mie considerazioni, hai le mie stesse percezioni, allora... ci siamo in due ;-) (Spero che tu prenda questa battuta per quel che è: una battuta. Non so chi si celi dietro al tuo nickname ma, a scanso di equivoci, mi scuso in anticipo se tu non fossi il tipo di persona che accetta lo scherzo).
👨 Osservazione   13/04/16 18:31 ® 1710
Tranquillo Marino, amo tanto gli scherzi, sia farli che riceverli, ti fanno sorridere e ti rendono la vita più bella, di cose per cui rattristarsi ce ne sono sempre anche troppo. Usando quel termine volevo solo rafforzare la tua errata, mia opinione personale, convinzione che i pro-fusione possano manipolare la nostra volontà. Quella è nostra e ce la teniamo!!!! Stesso dicasi per il fronte del no..... Ben inteso. E a novembre la manifesteremo schiacciando a terra ogni polemica assieme a tutti i fiumi di parole che da qui a la scorreranno.
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13/04/16
SOMS Ponte

GITA A TORINO della Società Operaia di Mutuo Soccorso di Pontedell'olio

Si parte domani 14 aprile alle ore 6,00! Buon Viaggio e buon divertimento
Grazie per la collaborazione
👨 Sebino   14/04/16 23:02 ® 1713
Un suggerimento da un non frequentatore di gite (purtroppo): si potrebbe andare sul lago d'Iseo a percorrere la passerella di 3 km che l'artista bulgaro Christo sta costruendo su quelle acque e che sarà disponibile per il pubblico dal 18 giugno al 3 luglio. Come si legge sulla "Repubblica" di oggi...
👩 Elena   15/04/16 11:10 ® 1714
Trasmetto alla nostra organizzatrice di gite.
grazie per il suggerimento!!!!
fateci sapere proposte e idee ,quello che è possibile lo si fa ,l'impossibile? chissa' (!?!?!?!?)
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12/04/16
Marino

Fusione: un punto di vista da considerare

Propongo questo documento che valuta le fusioni dal punto di vista dello studioso (*) . Per i tempi comunicativi di internet so che sto pubblicando un post anomalo perché occorre dedicarci parecchio tempo per leggerlo e ancor più per entrare nell'ottica dello studioso. Ma per chi desidera farsi un'idea la più ampia possibile sul tema fusione, è tempo ben speso. Eccolo...

«Cari sindaci voi siete i luoghi, i luoghi e i loro abitanti. La democrazia vera deve rappresentare i cittadini, ma anche i territori dove le persone abitano, lavorano, vivono, partecipano. Purtroppo, invece, il modello di sviluppo dell’età contemporanea ha polarizzato l’economia nelle aree di polpa e relegato i territori interni, rurali o montani, verso posizioni di marginalità.

Ora che quel modello, industriale o postindustriale e urbanocentrico, è in declino, vittima di una crisi strutturale e globale, sarebbe necessario tornare ad occuparci dello scheletro dell’Italia e rafforzare la rete istituzionale rappresentata dai piccoli Comuni e dalle istituzioni di base, rianimare la partecipazione e la democrazia locale, riconnettere cittadini e istituzioni, cittadini e politica. Invece, si sta andando in direzione contraria.

A livello scientifico e culturale numerosi studi e ricerche pluridisciplinari propongono di rimettere al centro la questione del territorio e del locale come via per rispondere alla crisi economica e democratica che attanaglia il nostro tempo. Partendo dall’idea di territorio come bene comune, emerge il valore dei piccoli Comuni e delle autonomia locali. Queste realtà comunali, che rappresentano la grande maggioranza degli 8000 comuni italiani, vengono chiamate “piccole”, ma spesso sono grandi sia come estensione, sia in riferimento alle risorse economiche e culturali che effettivamente o potenzialmente sono conservate nei loro confini. È soprattutto qui, nelle “terre dell’osso”, che risiede buona parte del patrimonio culturale italiano: un mix di prodotti, storia, identità, ambiente e benessere.

La vostra battaglia si intreccia con quella per difendere la Costituzione. Nel 1947 i Costituenti, pensando alla lunga tradizione civica dei Comuni, inclusero tra i principi fondamentali il riconoscimento delle autonomie locali: “La Repubblica riconosce e promuove le autonomie locali... adeguando la legislazione alle esigenze e ai metodi dell’autonomia e del decentramento” (art. 5). Oggi c’è bisogno di riaffermare, insegnare e predicare la bellezza e il valore del territorio italiano, non demolendo ma rivitalizzando la sua articolazione istituzionale di base.

Invece, le politiche ufficiali, nazionali e regionali, negli ultimi anni si sono mosse in direzione opposta. Le politiche del governo Renzi, di quelli precedenti e di alcune regioni vogliono ridurre drasticamente il numero dei municipi, in primo luogo togliendogli risorse e ossigeno, poi impugnando come una leva lo strumento delle fusioni. Cosa mai avvenuta in Italia, se non in qualche stato assoluto preunitario e nel 1927 quando Benito Mussolini promosse una drastica riduzione del numero delle amministrazioni comunali asserendo nel noto Discorso dell’Ascensione che 9000 comuni in Italia erano troppi e che i più piccoli dovevano scomparire e fondersi in più grandi centri”. Attualmente l’attacco alle autonomie locali e ai piccoli Comuni, associata alla riforma della Costituzione e alla legge elettorale, conferma che siamo in presenza di nuove politiche dirigiste, ad un processo di smantellamento dello Stato costituzionale, di una deriva postdemocratica. In pratica di un passaggio dalla democrazia all’oligarchia.

In Italia più che altrove i territori locali, con il loro profilo istituzionali basato sul Comune, rappresentano anche il livello primario, di base, della democrazia e della rappresentanza politica.

Il Comune è l’elemento centrale di una solida tradizione civica italiana che dal medioevo giunge fino alla Costituzione repubblicana, passando per Carlo Cattaneo che considerava i Comuni, e soprattutto i piccoli Comuni ben funzionanti, la spina dorsale della Nazione. In Cattaneo la tesi federalista si fondava proprio sull’idea dell’autogoverno comunale, sui Comuni considerati come “plessi nervei della vita vicinale”. Non a caso – sosteneva lo scrittore risorgimentale suggerendo una connessione tra qualità della vita e autogoverno locale – la Lombardia poteva vantare storicamente al tempo stesso un notevole benessere e il più alto numero di piccoli e piccolissimi Comuni: essa era in effetti, secondo Cattaneo, la regione italiana con il maggior numero di strade, scuole, medici condotti e “ogni altra comunale provvidenza”. Bisognerebbe che rileggessero Carlo Cattaneo molti odierni detrattori dei piccoli Comuni, gli improvvidi fautori del loro accorpamento tra i quali dobbiamo purtroppo registrare, paradossalmente, anche alcuni sindaci e amministratori locali, oltre a quella ventina di parlamentari del Pd che recentemente hanno avanzato una proposta di legge per la soppressione obbligatoria dei Comuni con meno di 5000 abitanti. Essi meritano la più totale e pubblica disapprovazione. Non si rendono conto che smantellare il sistema delle autonomie locali significa demolire le istituzioni che governano davvero il territorio, che ne curano l’integrità e le risorse e che rappresentano il presidio di base del sistema democratico, l’ambito della partecipazione e della vicinanza tra cittadini e scelte che li riguardano.

Specialmente nei piccoli Comuni, il municipio e il sindaco rimangono un punto di riferimento, come dimostrano varie esperienze di piccoli Comuni situati nell’osso della penisola che rappresentano casi significativi di rinascite territoriali, a partire da quelli censiti nell’osservatorio che la Società dei Territorialisti ha aperto a livello nazionale. Questa mappa di esperienze virtuose e di rinascite possibili, dovrebbe costituire uno strumento per resistere e invertire il processo di smantellamento del sistema delle istituzioni locali. Nella nostra ottica il ruolo dei Comuni resta centrale, prefigurando una sorta di neomunicipalismo inteso non come localismo chiuso (campanilismo), ma piuttosto come leva della partecipazione e di una ritrovata rappresentanza, a partire da alcuni temi fondamentali (salute, territorio, economia, cultura, ambiente e governo delle risorse, servizi e spazi pubblici, beni comuni…).

Il problema non nasce oggi. Da più di 10 anni l’attuazione delle leggi nazionali sul contenimento della spesa e le conseguenti normative regionali hanno aggravato la situazione di molti Comuni, indebolendo ulteriormente il sistema delle autonomie locali. Per effetto di queste leggi, che promettono addirittura incentivi per smantellare la rete dei Comuni, molti municipi hanno rischiato di scomparire e alcuni sono effettivamente stati cancellati, in particolare in Emilia Romagna e in Toscana, cioè proprio nel cuore dell’Italia centrosettentrionale che aveva a lungo rappresentato, non solo per il nostro Paese ma per l’intera Europa, la culla della civiltà comunale. In diversi casi il processo ha subito fortunatamente una battuta d’arresto, dopo che i cittadini con appositi referendum hanno bocciato le proposte di fusione. Ma abbiamo assistito anche a situazioni di chiaro stampo dirigista nelle quali alcune regioni (sempre Emilia e Toscana in primis) hanno imposto la fusione anche in presenza di pronunciamento contrario da parte degli abitanti tramite referendum, colpendo così, insieme al municipio, anche il metodo democratico. Regioni che avevano tenuta alta la bandiera del buongoverno, ora rischiano di scivolare in una posizione di retroguardia.

I Comuni in Italia sono troppi? No. Anche uno sguardo ai principali paesi europei, non avvalora questa idea: la Francia ha circa 36.500 comuni, la Spagna ne ha oltre 8.000, la Germania ne conta quasi 12.000 su una superficie di poco superiore a quella italiana. Anche rapportandoci alla popolazione il Bel Paese ha una minore densità comunale rispetto al resto d’Europa: l’Italia ha, infatti, un Comune ogni 7.500 abitanti circa, la Germania uno ogni 7.200, in Francia uno ogni 1.700 e in Spagna uno ogni 5.600. La media dell’intera Unione Europea è approssimativamente di una circoscrizione comunale ogni 4.100 abitanti.

È chiaro che smantellare i Comuni e privare le realtà locali delle istituzioni di maggiore prossimità agli abitanti costituisce una grave ferita per la democrazia e contrasta con la necessità di rilancio economico e sociale delle aree interne indicato nel documento strategico del Dipartimento per lo sviluppo e la coesione economica per una “politica di sviluppo rivolta ai luoghi”. Altri segnali positivi – che però evidenziano anche la schizofrenia politica italiana – sono rappresentati dalle proposte di legge tuttora all’esame del Parlamento per la difesa dei piccoli Comuni: quella di Ermete Realacci (2013) per il sostegno e la valorizzazione dei Comuni con popolazione pari o inferiore a 5.000 abitanti e quella di Patrizia Terzoni (2014). «L’Italia – ha dichiarato Realacci – deve scommettere sui piccoli Comuni, sulla forza dei territori e sulle sue bellezze diffuse se vuole essere più coesa e più competitiva». Esattamente il contrario di quello che scrive Emanuele Lodolini, il deputato del suo stesso partito che ha depositato l’11 novembre 2015 una proposta di legge che cancellerebbe in un solo colpo ben 5700 Comuni italiani. E qui siamo alla schizofrenia politica.

In una fase storica come quella che stiamo vivendo, caratterizzata dal progressivo allontanamento delle scelte dai luoghi di vita e dalla prevalenza dei poteri economico-finanziari sulle modalità democratiche di governance, da sentimenti diffusi di impotenza e di ineluttabilità, è necessario un rafforzamento dei Comuni, non il loro smantellamento, il mantenimento di una rappresentanza democratica vicina alla gente e ai territori, il rispetto delle identità locali e il rilancio del ruolo dei consigli comunali e della partecipazione. I piccoli Comuni sono in difficoltà? Ebbene, aiutiamoli a vivere, non a morire. E in tale ottica si promuovano strutture snelle di associazionismo e di coordinamento intercomunale per l’omogeneità e l’efficienza dei servizi pubblici e per coerenti politiche di area. L’autonomia comunale, l’identità, la cultura, la bellezza e la qualità della vita di gran parte del territorio italiano non sono solo temi da intellettuali o da poeti. Esse sono anche vere e durature risorse economiche e fulcro della civiltà di un Paese.

L’autonomia è come la libertà: si lotta per conquistarla e poi va difesa, costantemente difesa.

Autonomia non significa fare da soli. Autonomi e insieme. Ma dobbiamo rivendicare l’autodeterminazione delle comunità locali, quindi nessuna legge può obbligare alla fusione né a rinunciare in maniera forzata alle funzioni di cui i Comuni sono titolari, né ora né dopo. Verrebbe meno il rispetto delle autonomie locali previsto dalla Costituzione. Ma soprattutto diminuirebbero i diritti dei cittadini e dei territori, ledendo un altro basilare principio costituzionale: quello dell’uguaglianza.

Lo sanno i promotori delle fusioni che le campagne e le zone periferiche resterebbero marginalizzate, con danni per l’agricoltura, il turismo e i servizi sociali? Che la manutenzione del territorio peggiorerebbe. Che i paventati incentivi al massimo risolverebbero qualche problema subito, mentre il danno della perdita di autonomia resterebbe per sempre in modo irreversibile. La fusione non è qualcosa di più, ma è qualcosa di meno. Essa creerebbe Comuni più estesi, più costosi, più lontani dalla gente e meno trasparenti.

Perdere il Comune significa perdere importanza, rappresentanza, autonomia. Significa metterci nelle mani di qualcun altro, mentre il principio del Comune, fin dalla sua nascita, è quello che i cittadini di una comunità si autogovernano attraverso i loro rappresentanti. La democrazia comunale è la base della democrazia nazionale. La fusione è solo un’operazione politica di vertice, lanciata da pochi e sostenuta più per ragioni di partito che da interessi reali.

Dicevo che voi siete i luoghi. La fusione dei Comuni, quando non scelta consapevolmente dalle comunità locali, sarebbe un salto nel buio che fa perdere importanza, diritti, servizi: scuola, sanità, assistenza, urbanistica, sicurezza, ne risentirebbero.

Soprattutto in una fase storica come quella che stiamo vivendo, caratterizzata dal progressivo allontanamento delle scelte dai luoghi di vita e dalla prevalenza dei poteri economico-finanziari sulle modalità democratiche di governance, i Comuni, intesi come comunità reali degli abitanti e dei patrimoni territoriali che costituiscono i beni comuni, devono essere considerati come la struttura di base dello Stato, l’ossatura viva della democrazia. I Comuni più piccoli, in particolare, debbono essere tutelati e considerati come gli ambiti di base e strategici per il futuro dei nuovi equilibri socioeconomici dell’intero paese. Facciamo le cose insieme, accresciamo la nostra capacità di dialogo e di coordinamento. Ci sono tanti strumenti previsti dalla normativa per adottare volontariamente forme di collaborazione e di gestione associata di funzioni senza perdere autonomia e rappresentanza, senza precipitare in prospettive irreversibili. Seguiamo quelle, lasciando da parte fusioni antistoriche e antidemocratiche. ‘Autonomi e insieme’ dovrebbe essere il motto per evitare la cancellazione dei capoluoghi comunali e salvaguardare il patrimonio di cultura, di valori sociali, di democrazia e di economia contenuti nei loro territori.

A gran voce, invitiamo i nostri politici di qualsiasi colore, a ritrovare la strada perduta. Ripartiamo dai Comuni, non dalla loro cancellazione, perché l’Italia è un Paese di paesi, un paese di Comuni. Chi non lo capisce si pone fuori dalla tradizione civica e democratica italiana.»

(*) Intervento del professor Rossano Pazzagli, docente di storia moderna e storia del territorio e dell’ambiente all’Università del Molise.
  
12/04/16
Marino

Unioni e fusioni tra speranze e realtà

Due notizie dall'Unione Montana Alta Val Nure:
- ha deliberato di attivare l’istituto del lavoro accessorio attraverso il meccanismo dei buoni giornalieri “voucher” in favore dei cittadini che si trovano in stato di disoccupazione/inoccupazione al fine di inserirli in lavori di supporto agli uffici, nel limite di € 7.000,00  FONTE 
- ha deliberato di aggiornare la dotazione organica prevedendo l'assunzione di un Assistente Sociale e di un Agente di Polizia Municipale  FONTE .
👨 Diogene   12/04/16 09:56 ® 1706
Questi voucher, chi li usa e chi vuole abolirli con un referendum (vedi sotto). Opportunità e scelta proficua o sfruttamento ed elusione? Chissà dove sta la parte della ragione...
👨 Alessandro Chiesa   12/04/16 10:28 ® 1707
Fa piacere vedere che, a distanza di oltre un anno, la mia proposta di utilizzare i voucher in favore dei disoccupati sia finalmente realtà. Quando presentai la mozione (http://chiesaalessandro.blogspot.it/2015/03/mozione-voucher-e-sostegno-al-reddito.html), a marzo 2015, venne bocciata dal Consiglio comunale.
Ad ogni modo, ciò che conta è il risultato finale.
Fortunatamente per chi non ha lavoro, questa iniziativa ha visto la luce.
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