Una comunità è come un albero: l’oggi e il domani sono i rami e la chioma che crescono, grazie alla forza e alla solidità delle radici, il passato. Smarrire i legami che li uniscono significa compromettere il futuro.
Se a Ponte dell’Olio c’è un luogo simbolo del passato, quel luogo è il “
Fontanazzo”, lavatoio comune per decenni, fonte di acqua preziosa e momento di incontro per tante persone.
Oltre un anno fa il
Fontanazzo è stato imbrattato con scritte e scarabocchi che ne hanno rovinato il decoro, rendendo testimonianza della sciocchezza degli autori.
Verosimilmente una “ragazzata”, emblematica di una lacuna educativa, almeno sotto il profilo della capacità di maturare il senso di appartenenza alla collettività. Ma, al di là del fatto in sé, sconcerta l’assenza di reazione da parte del paese.
Fanno eccezione le riflessioni di Marino su Ponteweb, e di pochi altri, coperte dalla polvere del silenzio, e l’ostinata generosità di Carlo Ferrandi, che continua a pulire le vasche, mentre colpisce la mancanza di uno sguardo dalla parrocchia (se non altro per la vicinanza) ma, soprattutto, la totale noncuranza del soggetto proprietario del manufatto.
Sono passati un po’ di anni (non tanti) da un episodio simile, con atti vandalici che avevano interessato il
Fontanazzo e l’ex ristorante Valnure: allora la cosa non aveva lasciato tutti insensibili.
L’amministrazione comunale, le scuole e la parrocchia si erano incontrate, confrontate e attivate per affrontare non solo le conseguenze di quei gesti, ma soprattutto le ragioni che li avevano determinati.
Era stata avviata una riflessione che aveva coinvolto un po’ tutti, dalle istituzioni alle famiglie, cercando di accrescere la consapevolezza di cosa significhi e quanto sia importante essere comunità.
Tutto questo appare oggi come un passato remoto e rimosso: il
Fontanazzo è tuttora in attesa di essere restituito alla civiltà e al decoro, mentre è sempre più evidente come vada estendendosi un disinteresse verso forme di crescita comune, di competenze condivise, di solidarietà sociale.
Quasi una rimozione dell’idea che dall’impegno per un maggior benessere collettivo possa discendere un profondo “stare bene” personale. Si tratta però di un tipo di impegno che implica assunzione di responsabilità verso gli altri, come verso sé stessi: non è semplice ed è fatica vera.
In realtà, in tanti ambiti si diffonde la tendenza a identificare nell’ “altro” ogni causa delle proprie debolezze ed errori, accompagnata da una sorta di rigetto a misurarsi con ogni forma di complessità, una desertificazione culturale di cui manca ancora una chiara consapevolezza.
In generale, concludendo, Ponte vive un presente crepuscolare e di indifferenza a ciò che esula la sfera individuale, terreno di coltura ideale per costruire un futuro sempre più degradato.
Siamo ancora in tempo a risalire la china?
Fabrizio Cadura